Guerrino Benetello, ex fornaciaio alla fornace di Guido Schiavon, Casale sul Sile. (Foto 27.3.1988) |
(Integrale, senza editing - durata 1:41:47)
Contenuto
1998.01a (20 marzo 1988)
Tempo necessario per
riempire i carrelli di argilla.
La stagione si
fermava per due mesi (inverno).
02:00 Pagati ogni 15
giorni a volte anche con “buoni” per andare a bottega … noi andavamo da Frezza
a Casale.
Se c’era bisogno di
contanti si andava a cavarse el capel dal
paron, spiegando il motivo per cui servivano.
03:21 Guadagnavo 60
cent. all’ora, prima della guerra (sessanta
schei).
Lavoravo da Guido Schiavon
ed erano una cinquantina e anche più, di operai.
04:08 Fasi della
lavorazione, partendo dal carrello riempito di argilla e portato nel “monte”; inizialmente
spingendo a spalle, mentre nella foto che guardiamo il carrello è trainato da un
mulo su una rotaia.
Descuerta dello strato superficiale di terreno coltivabile
e carico di argilla sui carrelli. Fine anni '30.
(Foto gc. Rino Benetello, Casale sul Sile)
Con l'ausilio di un mulo i carrelli carichi di argilla vengono trainati sul "monte". (Foto gc. Fornaci Caberlotto - Lughignano) |
05:20 Con l'argilla (a crèa) del monte si faceva un paston, calpestandola con i piedi ... e ogni giorno servivano due e anche tre pastoni, il fabbisogno per ogni persona [banco]. L’argilla era impastata con l’acqua.
08:00 El paston era pronto quando “a malta xe fissa”[consistente]. C’era
terra forte e terra leggera, che andava bene per le pietre.
Io andavo a scegliere
la terra, e a me l’aveva insegnato il padrone.
09:50 Andando sul
campo con una trivella si trivellava un
metro, un metro e mezzo e anche più di profondità e si vedeva che tipo di terra
c’era; se era dura (forte) o leggera, da piere.
11:37 Si scendeva
finché non si arrivava al caranto, lì ci si fermava perché il caranto faceva
scoppiare le pietre.
Le fornaci nella zona
di Casale sul Sile prima della seconda guerra: Schiavon,
Bertoli, Caberlotto, Torzo, Biffis.
13:00 Ora c’è solo
Caberlotto a Casale, e Biffis a Musestre.
Continua l’elenco
delle fornaci partendo da Treviso: Tognana, Gregori… fino alla fornaseta di Musestre.
14:34 Si riprende con la lavorazione del paston, che richiedeva 3-4 ore prima che la “malta”
fosse pronta; si entrava nel paston
scalzi. Si calpestava versando dell'acqua finché l’argilla (a malta) era pronta da sartar
sullo stampo delle pietre. Veniva portata con un carrello nel banco e da qui, a mano veniva presa e
versata nello stampo; poi veniva
livellata con una stecca di acacia.
19:00 (Interviene una
persona più giovane [figlio?] presente all’incontro che spiega con chiarezza la
lavorazione del banco).
20:45 I mattoni restavano
a terra alcuni giorni, senza protezione (sperando che non piovesse) affinché si
indurissero e poi le pietre venivano impilate a spina di pesce sulle risse (file coperte da arelle) dove
rimanevano altri 5-6 giorni per asciugarsi prima di passare nei forni.
22:20 Chi aveva il
banco veniva pagato “a contratto” , a
cottimo, cioè in base alle pietre prodotte.
24:05 Benetello però
ha lavorato non nel banco, ma nei forni e a “cavar tera”.
25:50 Accenna a
scioperi e lotte ma non scende in particolari. Più dettagliata invece la
persona giovane presente che parla però (solo) delle condizioni di lavoro
quando andavano a scavare l’argilla nel campo.
27:15 Le pietre
venivano portate con una carriola dalle risse nel forno.
1988.01b
29:57 - 35:47 La
persona giovane inizia a parlare del forno. In alto c’erano delle bocchette,
dei fori per far scendere il carbone; posizionamento delle pietre in modo che
il carbone che scendeva dall’alto scaldasse uniformemente; c’erano degli specialisti che facevano “il
castelletto” e altri operai da sopra facevano scendere il fuoco.
Spiegazione
dettagliata (purtroppo non video…) del funzionamento
del forno Hoffmann.
35:40 Erba palustre
usata per far fuoco, descrizione.
36:50 La fornace ogni
anno veniva spenta, nella cattiva stagione. Spiega come avveniva la riaccensione.
La pietra veniva
cotta a 800 gradi, per circa 8 ore.
38:38 C’erano un
forno pieno e uno vuoto … si infornava e si sfornava.
Forno Hoffmann non più utilizzato. (Foto 17.3.1988) |
Fornace a intermittenza in riva al Sile in una mappa di Fiera del 1674. (Immagine utilizzata da Paolo Pozzobon in Sant'Ambrogio di Fiera, 1980) |
39:13 Molto caldo,
nel forno: “e mudande erano sempre moje,
moje dal sudor”, dice Guerrino, che faceva parte di una squadra addetta al
forno: il lavoro più faticoso.
41:29 Le case degli
operai erano vicine alle fornaci perché, quando serviva, bisognava arrivare presto
per coprire le risse, notte e giorno, con le grisiole. Ogni fornace aveva
le sue case; i fornaciai non pagavano l’affitto ma tutta la famiglia doveva essere sempre disponibile - in caso di
necessità (temporale, ecc.) - per mettere al riparo le pietre.
42:50 A mandare
avanti il lavoro delle pietre erano le
famigli che avevano il “banco”.
Oggi invece il lavoro
è tutto meccanizzato.
45:30 Resta sempre la
necessità dell’esperto che sa scegliere la terra giusta, che sa “provinare” la
terra che il padrone andava a contrattare.
46:20 “A descuerta”: scavare la terra superficiale fino a trovare l’argilla.
L’argilla (a crea) di solito veniva
scavata per una profondità media di circa un metro, un metro e mezzo, ma anche fino a 4 e 6 metri (questo avveniva
non a mano, ma con gli escavatori meccanici).
49:07 La carbonella,
la cenere utilizzata nel forno per cuocere le pietre veniva poi buttata dentro
alla buca che era stata scavata nella campagna, per riportare la terra il più
possibile a livello e alla coltivazione.
50:20 El groƚo: radici di erba palustre che dopo essere stata
tagliata per far strame veniva estirpata, lasciata asciugare e portata nelle
fornaci: forniva “el stopin” per far
fuoco.
53:00 Difficoltà di
escavo a mano, con il vanghetto: “a volte mi veniva di tornare a casa prima di
mettermi a lavorare, al pensiero della fatica che c’era”, e bisognava riempire
un carrello e mezzo a testa in 25 minuti.
54:00 Quando è stato
il momento non vedevo l’ora di andare militare, per non fare più questo lavoro.
55:00 Elenco delle più
note famiglie che avevano i banchi
nelle fornaci: Moro, Sbarra, Toffolo, Battistin, Santella di Lughignano, Mafalda,
una vecchia fornaciaia che mi consigliano
di andare a sentire.
Nella fornace di
Schiavon c’erano otto banchi che
facevano pietre.
57:00 Vino e grappa
in gran quantità, per i lavoratori nei forni; lavoro pesante, si beveva “e ti
pareva di spaccare le montagne”.
59:00 Da mezzogiorno
all’una sosta per il pranzo: le donne partivano da casa con “a pignatea” e portavano da mangiare. Non c’era
mensa.
1998.02a (23 marzo 1988)
Riprende con il
funzionamento del forno Hoffmann e
il tempo necessario per la cottura, di pietre e “modellato”.
“Infornar” e “desfornar”; uso della
carta per far avanzare il fuoco e chiudere le prese d’aria.
01:02:04 Un’infornata
viene cotta in tot ore. Il fuoco una volta messa in funzione la fornace bisognava
sempre tenerlo acceso. Sopra c’era “un
fogante” che controllava il fuoco 24 ore al giorno. Gli addetti al fuoco
erano operai più specializzati e retribuiti; a Casale c’era Carlo Benetello che
ha lavorato da Schiavon (fino al 1982 quando ha chiuso) e poi da Caberlotto, finché
è andato in pensione.
I fornisti invece lavoravano in un unico turno di circa 8 ore.
01:05:30 Modifiche
effettuate ultimamente al forno Hoffmannn (a parlare - con chiarezza - è sempre
la persona più giovane), in modo da poter entrare con i muletti; il forno era
suddiviso in quattro parti.
01:06:50 Schiavon ha
chiuso per non aver ammodernato il forno, con aumento di costi di personale e
combustibile.
Un’infornata di
mattoni, mettiamo di 13 mila pietre, ci metteva quasi otto ore a cuocersi
01:10:00 Schiavon
Guido, il padrone della fornace, ha smesso ed ora è morto; sua moglie Elsa abita in piazza Mazzini a Jesolo e
i figli sono a Oriago.
01:11:30 Il forno
Hoffamann quando è spento è un paradiso, tiene il fresco che ci potrebbe stare
una cantina, ma quando è acceso è un disastro di calore a lavorarci.
01:12:10 “Si andava dentro e
si veniva fuori che si era lavati dalla testa ai piedi, dal sudore, nel giro di
cinque minuti” (Guerrino). Non sa quanti gradi ci fossero dentro al
forno, ma tanti… saranno stati più di 60 gradi (dice il giovane)
Anni '50. Interno di un forno Hoffmann. (Foto gc. Fornaci Caberlotto, Lughignano) |
01:12.42 Dicevano: “Caval de restera e
omo de fornasa, vita corta”, infatti è vero, “nella restera morivano i cavalli e
di quelli che andavano dentro ai forni siamo rimasti in due”. (Guerrino)
01:13:30 Guerrino racconta di
uno scherzo fatto al capo Bordin, con una campanella riempita d’acqua.
Le bocchette erano i fori è per far scendere il fuoco.
01:16:14 Mi spiegano
come era fatto lo stampo delle pietre.
In visita a un
magazzino dove sono conservati vari tipi di forche per manovrare tavelle,
tavelloni, “modellato”.
Mi mostrano i vari
tipi di forche in legno per infornare il materiale modellato o i coppi. All’interno
del forno c’erano quattro persone addette a posizionare il materiale e vi
resistevano non più di un’ora, un’ora e mezzo.
01:23:00 Tecnica per
riempire gli stampi delle pietre.
Scatto foto e si
commenta la foto della festa (pranzo) dei fornaciai.
01:27:00 Festa di
fine stagione - verso i Morti (fine ottobre inizio novembre) - dei dipendenti delle quattro fornaci Schiavon
(Casale, Portogruaro, Oriago e Padova. La festa era nel cortile della fornace;
si mangiava pasta asciutta (subioti),
formaggio, insalata…
Ogni fornace aveva
questa consuetudine.
01:30 “Pal copo”: siccome non pagava l’affitto, la famiglia del
fornaciaio era sempre a disposizione del padrone.
1988.02b (fino a 10:10)
01:31:56 A descuerta: vangare il terreno
superficiale quanto serve per arrivare alla falda d’argilla (spiega foto pubblicata
a pag. 75 del libro Sile: alla scoperta).
Tipo di vanga, con “a sanca” [una staffa, barra laterale in ferro] per meglio spingere con il
piede.
01:37:20 Durante la descuerta, lavorare velocemente,
neanche tempo di fare i propri bisogni.
01:38:20 Ancora sul
vino: “se non ci fosse stato il vino che ci teneva un
po’ su, saremmo stati tutti k.o.” (Guerrino). Alcuni fornaciai bevevano
così tanto che i soldi della quindicina non gli bastavano per pagare il vino: in osteria scrivevano
su una scansia visibile a tutti - ad ogni quarto di vino bevuto e non
pagato - un 4 (na
caregheta) col nome del debitore, che quando prendeva la quindicina pagava
un po’, e la fila dei 4 si accorciava, per poi riallungarsi nei giorni seguenti.
01:40:00 Le pietre
del Sile andavano in gran parte a Venezia. Avevano tutte il marchio della
fornace.
In primo piano el paron Guido Schiavon con la moglie Elsa. |
NB - L'informatore che mi ha accompagnato
da Benetello e dagli altri testimoni
da Benetello e dagli altri testimoni
del lavoro nelle fornaci (e non solo) di Casale
è stato Bruno Gobbo, scultore in legno.
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